I tre volti della paura




REGIA: Mario Bava

CAST: Michèle Mercier, Lydia Alfonsi, Boris Karloff, Susy Andersen, Mark Damon, Massimo Righi, Galuco Onorato, Rika Dialina, Jacqueline Pierreux, Milly,

ANNO: 1963

 

TRAMA:

 

Una donna viene infastidita da telefonate minatorie. Una famiglia viene stravolta da una strana forma di vampirismo. Una donna viene sconvolta dal senso di colpa per aver rubato un anello ad una donna defunta.

 

 


ANALISI PERSONALE

 

Suddiviso in tre deliziosi e gustosissimi episodi, “I tre volti della paura”, di quel piccolo grande genio che è stato Mario Bava, si inserisce a piena forza e di diritto tra le pellicole di genere più riuscite e apprezzabili del panorama italiano, anche se paradossalmente qui da noi non ebbe la giusta accoglienza venendo invece capito nella sua essenza ironica e beffarda solo all’estero.

Ognuno dei tre episodi racconta, in maniera del tutto differente sia stilisticamente che narrativamente, quali sono appunto i diversi tipi di paura, o perlomeno i principali a detta del regista. Trattasi della paura dei vivi, raccontata nel primo episodio dal titolo “Il telefono”, della paura dei non-morti narrata in “I Wurdalak”, secondo episodio e, infine, della paura dei morti che esplicata nell’ultimo capitolo “Goccia d’acqua”.

Ogni episodio riesce a colpire in una maniera o nell’altra. Nel primo per esempio (tratto da una storia di G. F. Snyder, anche se viene accreditato a Mapupassant), al di là dell’atmosfera sospesa che si respira per tutto il tempo a causa di questo disturbatore al telefono che sembra consocere ogni singolo movimento della povera donna che riceve le telefonate anonime, quello che più affascina è una sorta di riferimento al rapporto lesbico che sembra intercorrere tra la protagonista e l’amica alla quale si rivolge quando viene spaventata dall’anonimo. Un argomento non proprio all’ordine del giorno per quei tempi, ma sicuramente affascinante per quanto riguarda le contorte relazioni che alla fine veniamo a scoprire tra il fantomatico uomo al telefono, la giovane e bella protagonista e la sua amica forse un po’ troppo possessiva.

Il secondo (tratto da Tolstoj) si assesta decisamente sul genere horror più puro, richiamando potentemente il cinema di Corman ispirato a Poe, tant’è che c’è persino come attore protagonista quel Mark Damon presente anche ne “La maledizione della casa degli Usher” o “I vivi e i morti” che dir si voglia. Pur non trattandosi di sepolti vivi, bensì di morti/non-morti, cioè di strani esseri, chiamati Wurdalack, che una volta morti ritornano in vita per succhiare letteralmente il sangue delle persone che più hanno amato nel corso della loro esistenza, le atmosfere e la fotografia ricordano potentemente il cinema cormiano. Evidente sottotesto è la potenza pericolosa dell’amore quando questo diventa soffocante, come in questo “malasano” ambiente famigliare in cui un povero avventore si imbatterà suo malgrado venendo risucchiato nella spirale ossessivo-amorosa che lega ciascun componente all’altro.

Il terzo episodio (tratto da Cechov), si concentra sull’enorme senso di colpa provato da un’infermiera per aver rubato un anello alla medium morta di infarto a cui era andata a cambiare il vestito. Rimane però il dubbio sul fatto che le visite della morta che ossessiona la donna siano reali, e dunque un vero e proprio ritorno dall’aldilà, o frutto dell’immaginazione spaventata dell’infermiera. Grande punto di forza di questo ultimo episodio è l’ambientazione dal carattere decisamente gotico e l’abilissimo gioco di luci e suoni con il temporale che illumina ad intermittenza l’appartamento della donna, oltre a spaventarla con i suoi tipici rumori e anche il gocciolare e il ticchettio dell’acqua che cade dal lavandino del bagno o della cucina. Rumori, luci e ombre che spaventano oltremodo la protagonista e suggestionano oltremodo lo spettatore. Grande punto di forza della pellicola è dunque la fotografia, firmata a quattro mani dal regista e da Ubaldo Terzani, che gioca con gli effetti cromatici, maggiormente negli ultimi due episodi, incentrandosi sui volti dei protagonisti, soprattutto sui Wurdalak che si avvicinano minacciosamente alle loro vittime e sulla medium morta che torna a tormentare l’infermiera. Primissimi piani, frutto dell’inventiva di Bava che si concentra appunto sul terrore suscitato da questi esseri paurosi, che vengono incorniciati con dei colori freddi come il verde, il blu o il viola e che creano la giusta atmosfera “terrificante” che si respira per l’intera pellicola.

Difficile scegliere il migliore dei tre, considerando anche che a presentarceli ad inizio pellicola c’è niente poco di meno che il grande e mitico Boris Karloff, icona per eccellenza del cinema horror, qui chiamato a svolgere il ruolo di “accompagnatore” nei meandri del terrore, ma anche vero e proprio protagonista del secondo episodio, nonché simpatico e ironico scopritore dei trucchi del mestiere in un finale dall’umorismo deliziosissimo in cui ci viene mostrato uno dei tanti caserecci e artigianali effetti speciali del maestro Bava, che sapeva creare delle pellicole straordinarie partendo da mezzi di fortuna con la sola potenza inarrestabile delle sue idee e della sua immensa fantasia.

 

 

VOTO: 9

 

 


CITAZIONE DEL GIORNO

 

"Addio fanciulla, avrei potuto violentarti ma è un genere d’amore che non mi va, troppo faticoso tutto sommato" (Il settimo sigillo)

 


LOCANDINA

 

11 commenti su “I tre volti della paura

  1. Delizioso film che fa venire tanta nostalgia… altro che Balaguerò e compagnia cantante. Il finale beffardamente autoreferenziale poi è da antologia, indimenticabile.

  2. Cine, perchè con “piccoli” mezzi ma con “grandi” idee, è stato un genio ^^

    Memole, il secondo è altrettanto interessante, fidati.

  3. Quando ancora le buone idee prevalevano sugli scarsi mezzi… Basti vedere a proposito come lo ha rifatto Stivaletti (I TRE VOLTI DEL TERRORE), che certo in mezzi non aveva niente di più, ma ho il dubbio che gli manchi qualcosa in merito a idee…

  4. Commento che ho letto con molto gusto anche se non sono un’amante del genere, l’unico horror che mi sia piaciuto veramente tanto è stato Suspiria.

  5. Io ho amato moltissimo l’horror da ragazzina, poi non so perchè (o perlomeno lo so, è colpa degli horror di un certo periodo che sono alquanto dimenticabili) mi è nata una certa avversione per il genere. Poi ho superato questa avversione e ho ricominciato a recuperare la mia passione per il genere e devo dire che è stato un vero e proprio ritorno di fiamma!

  6. occhio però: il secondo episodio è tratto sì da un racconto di Tolstoj, ma non Lev, bensì il suo meno celebre cugino Aleksej.

    comunque gran film, sì. il mio preferito di Bava.

    ed è sempre bello ricordare che questa (piccola grande) pellicola ha dato il nome ad una delle più grandi rock band di sempre.

  7. Eh già, i Black Sabbath si sono ispirati al titolo inglese di questa pellicola per il loro nome. Niente male davvero come ispirazione!!

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