Le colline hanno gli occhi (1977) Vs Le colline hanno gli occhi (2006)

La speranza e’ sempre l’ultima a morire

Un horror come non se ne fanno più questo secondo lungometraggio di Wes Craven, che attinge vistosamente dal ben più riuscito "Non aprite quella porta" di Tobe Hooper. Sono molte le cose in comune tra le due pellicole, a partire dall’atmosfera malsana che si respira per tutta la durata del film fino ad arrivare alla riflessione sulla famiglia e sui suoi meccanismi (non è un caso che al centro di entrambe le pellicole ci sia una famiglia di "cannibali disadattati"). Nonostante non raggiunga il livello di coinvolgimento del film di Hooper, "Le colline hanno gli occhi" rimane comunque un horror molto interessante e per certi versi terrificante, nonostante a distanza di più di 30 anni gli spettatori siano abituati a ben più impressionanti orrori cinematografici (in tutti i sensi).

Al centro del mirino (parlare di mirino non è casuale così come si evince durante la visione del film) di Wes Craven ci sono due tipologie molto diverse di famiglie. Quella canonica, borghese composta dalla middle-class americana, fatta di viaggi in camper nel deserto, di venticinquesimi anniversari di matrimonio, di preghiere e di armi sempre pronte alla difesa; e quella ben più anticonvenzionale degli abitanti delle colline, chiamati con i nomi dei vari pianeti, e soliti condurre una vita ai margini, letteralmente e metaforicamente parlando (anche se a lungo andare notiamo che non sono completamente esclusi dal resto della civiltà, visto che ne conoscono approfonditamente il linguaggio, i modi di dire e i principi fondamentali, segno forse che è impossibile sfuggire completamente alle maglie dell’imperante società opprimente?). Questi ultimi, infatti, contrassegnati anche da un’orribile aspetto fisico (c’è un velato e poco approfondito riferimento ad alcuni esperimenti compiuti nella zona dall’esercito), si cibano di carne umana e non fanno altro che aspettare il malcapitato di turno per potersi divertire sadicamente e crudelmente con lui.

Apparentemente non c’è speranza per nessuna delle due famiglie, perché a quanto sembra la prima andrà incontro ad un destino tragico e la seconda non può che annegare nella sua estrema "follia" senza alcun spiraglio di redenzione. Quello che riesce a fare Craven, invece, è ribaltare completamente le carte in tavola donando quel pizzico di speranza, che si sa è sempre l’ultima a morire, ad entrambe le famiglie, restituendoci il messaggio che nonostante lo stato di disgregazione a cui questo particolare ambito sociale, la famiglia appunto, è andato incontro negli ultimi tempi (ricordiamoci che siamo negli anni ’70), non tutto è da considerare perduto.

Sottilissima, ma molto riuscita, anche la critica al convenzionalismo e alla prevedibilità della classe media borghese americana, tant’è che la stessa, impersonata in questo film dalla famiglia dei "buoni", viene fortemente punita dall’incontro con l’altra famiglia, proprio in seguito alla scelta di usufruire di una scorciatoia per arrivare in California, e dunque di allontanarsi dalla consueta e programmata "strada maestra". Ecco che, allontanandosi dai propri schemi precostituiti, questi ameni borghesi con padre ex-poliziotto e madre devotamente religiosa vanno anche incontro alla loro fine. Non vengono risparmiati però nemmeno gli altri, come verrà sottolineato perfettamente nel finale shockante e fulmineo con lo schermo che si tingerà completamente di rosso sangue, in una sorta di messaggio implicito che ci restituisce il valore della "via di mezzo" (non bisogna inserirsi stancamente e convenzionalmente all’interno della società, così come è impossibile riuscire a sopravvivere completamente avulsi da essa).

Nonostante la "sporcatura", causata dalla presenza di attori non proprio all’altezza, e nel caso dell’edizione italiana, da un doppiaggio davvero ignobile con dialoghi decisamente evitabili e il più delle volte banali e quasi risibili, per certi versi è molto apprezzabile dal punto di vista tecnico con una regia, una fotografia e un montaggio davvero funzionali. Del resto, come ci dice Craven, nessuno è perfetto, o se lo è, molto probabilmente in realtà è più imperfetto degli altri.

Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate

Uno di quei rari casi, "Le colline hanno gli occhi" del 2006, in cui pur non surclassando il predecessore, la pellicola riesce a non farne rimpiangere il ricordo. Approfondendo molti dei temi che nell’originale venivano lasciati al margine (come quello delle mutazioni genetiche a causa della cattiva condotta del governo), Aja, abile maestro dell’horror così come ha dimostrato col bellissimo "Alta tensione", spinge l’acceleratore sul gore e imbratta letteralmente attori e scenografie con litri e litri di sangue. Gli amanti del genere troveranno pane per i loro denti, soprattutto in un corposissimo e diluito, rispetto al capostipite, finale in cui uno dei protagonisti "buoni" si sfogherà esageratamente sui suoi terribili nemici (non è un caso che il protagonista in questione sia proprio quello che viene descritto come un democratico e quindi come pacifista e contrario alle armi).

Lo sguardo di Aja, si sofferma maggiormente sulle figure di questi cannibali, la cui trasfigurazione fisica è ancora più sottolineata, per restituirci una visione complessiva della società marcia e "deforme" in cui viviamo, che se per un attimo sembra andare incontro ad una sorta di redenzione e salvezza (la stessa che si percepisce grazie ad un particolare personaggio appartenente alla famiglia dei cannibali, presente in entrambe le pellicole), alla fine ci rilancia nel tunnel della "disperazione". Ecco che allora l’estrema cattiveria e crudeltà di questi esseri è in parte giustificata dal modo in cui sono stati trattati dal resto della società, incurante della loro condizione di difficoltà e di indigenza. Permane la critica al convenzionalismo, al bigottismo e al perbenismo della middle-class, anche se sembra quasi che ad avere la meglio a fine pellicola siano proprio gli esponenti della stessa. Ma Aja è abilissimo a rituffarci nell’angoscia e nell’inquietudine totale, la "disperazione" di cui sopra, con un istantaneo e fulminante zoom finale che ci lascia quasi col fiato sospeso.

Dal punto di vista effettistico, ovviamente, avendo a disposizione un budget più alto, oltre che mezzi maggiori a disposizione visto il lasso di tempo che intercorre tra le due pellicole, questo "Le colline hanno gli occhi" è più riuscito del precedente, anche se tutto sommato più patinato, rispetto allo stile casereccio e forse più genuino dell’originale. Fatto sta che indubbiamente si sono fatti dei passi avanti in sede di recitazione generale, di depurazione da banalità e stereotipi (anche se effettivamente, seppur in misura minore, sono presenti anche qui), e soprattutto di rivisitazione in chiave più apprezzabile dei dialoghi. Quello che Aja è riuscito a fare, insomma, è stato creare un horror decentemente e sufficientemente godibile, partendo dall’idea originale e particolare di Craven (qui in veste di produttore che voleva ampliare il suo progetto con più mezzi e più soldi a disposizione), senza infangare la memoria del predecessore e anzi accostandovisi in maniera rispettosa e per certi versi pedissequa, se si escludono alcuni passaggi narrativi, per forza di cose modificati. Tra le tante cose, non tutte essenziali ovviamente, che ci lascia questa pellicola, rimane sicuramente la curiosità e il desiderio morboso di continuare ad osservare il disfacimento della "società-famiglia", così come fanno i cannibali (o Aja stesso?) utilizzando il mirino di un binocolo, dunque tenendosi in disparte e super-partes rispetto all’oggetto dell’osservazione.

Pubblicato su www.supergacinema.it

9 commenti su “Le colline hanno gli occhi (1977) Vs Le colline hanno gli occhi (2006)

  1. Credo tu sia stata un pochino severa con il film di Craven, che nonostante tutto resta una pellicola seminale per l’intero decennio dei ’70, un’opera al nero di enorme valore simbolico che ha influenzato una miriade di film nei trent’anni successivi.
    Concordo peraltro sulla buona qualità del film di Aja, uno dei pochi remake interessanti e con idee brillanti, in mezzo a una quantità di porcherie…

  2. Ma io ho parlato molto bene del film di Craven che mi è piaciuto molto. Certo alla fine ho sottolineato alcune "sporcature" tecniche, ma ho sottolineato altrettanti fattori più che positivi. Poi ho detto che il film di Aja è bello ma che comunque non eguaglia l’originale, ciò vuol dire che indubbiamente gli ho preferito il film di Craven.

  3. La versione nuova non l’ho vista, non mi ispirava un granché a dirla tutta… La versione di Craven, però, l’ho vista solo nel montaggio stracensurato che girava negli anni ’80, quindi è bene che mi cerchi quello integrale… T_T

  4. Ottima, ottima recensione/confronto tra originale e remake -mi piacerebbe una cosa del genere, quando arriverà Nightmare-

    ti scrivo sui commenti, perchè non ho trovato il link contatti, per esprimerti tutta la mia stima e simpatia, veramente un ottimo blog d’informazione, sentito e ricco, la cosa piu bella?! Il fatto che lo gestisca una ragazza (non se ne vedono molte, purtroppo), brava, preparata e con la giusta sensibilità artistica, ce ne fossero di angeli come te!

    BUON LAVORO TI HO AGGIUNTO AI PREFERITI

    Joe 😉

    ps- tempo fa mi scrivesti alcuni commenti, sul mio blog adesso chiuso (spero di aprirne uno nuovo e messo meglio), anche perchè Ale55andra è difficile da dimenticare come nick 😉

  5. Carina l’idea della recensione sinottica originale-remake!

    Io ho apprezzato molto il film di Aja (visto al cinema, di grande impatto), ma serbo la mia preferenza per quello di Craven, gran bel pezzo del suo cinema che preferisco: quello più precoce.
    Ho trovato Aja efficace, in parte per i meriti che gli attribuisci anche tu, ma anche molto "divulgativo". Forse non è la parola adatta ma adesso non trovo di meglio. Quello che intendo dire è che si è impegnato molto nello scoprire i temi del film di Craven, nel tradurli a uno stato più evidente, cosa che in parte ha giovato all’impatto disturbante del prodotto, in parte ha assottigliato la sua ambiguità. Un’altra cosa che ho rimpianto sono i dialoghi interni alla famiglia mostruosa, che nel film di Craven restituivano un ritratto più articolato della sua struttura sociale.

    (Comunque il cane Bestia è troppo un terminator. Grande eroe d’azione quadrupede.)

  6. Joe, grazie mille davvero!! Quando apri un nuovo blog fammelo sapere!!

    Agony, in effetti ne ho fatti e ne farò altri di questi post. Appartengono tutti ad una rubrica che curo per un sito. Hai ragione, il cane è un mito!! Peccato per Bella…

  7. Questo confronto orginale e remake mi ricorda un po qualcosa che ho fatto anch’io in passato…è sempre interessante vedere cosa ne viene fuori dal confronto diretto…purtroppo per quanto riguarda le colline hanno gli occhi pur avendoli entrambi da qualche parte non li ho mai visti…l’unica cosa che mi sento di dire è che l’horror di Craven (laureato in filosofia se non sbaglio) è sempre pieno di sfumature politico-sociali più o meno sottili..detto questo ogni volta che vedo un suo film oggi penso a quanto male siano invecchiati…nightmare e soprattutto scream sembrano barzellette…il che mi fa sempre venire in mente che alcuni horror  degli anni 50 sembrerebbero più giovani se non fosse per il bianco e nero…è una considerazione che forse non centra un po’ niente…però bo..mi andava di farla. Aja promette bene per ora…
    Deneil

  8. Deneil, anche secondo me Aja promette molto bene. Per il resto sicuramente molti di questi horror hanno perso "smalto!" però secondo me Le colline hanno gli occhi è perfettamente contestualizzabile nella nostra epoca, tant’è che Aja l’ha fatto modificando più che altro cose dal punto di vista formale ed estetico. Il discorso etico-sociale che sta alle spalle, bene o male è rimasto lo stesso.

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