Little Monsters: la forza di chi si prende cura dei bambini supera persino la furia cieca degli zombie

Dave è uno scavezzacollo senza arte né parte, fidanzato da 9 anni ma in perenne conflitto con la compagna che vorrebbe una relazione più stabile. Quando i due si lasciano lui torna a vivere con la sorella e col nipotino di cinque anni, la cui maestra, Miss Caroline, gli farà perdere completamente la testa. Con lei partirà volontario come accompagnatore per una gita in cui i bambini e loro stessi, però, si ritroveranno a fronteggiare un terribile attacco zombie.

Sono passati 16 anni dall’uscita di Shaun of The Dead, gioiellino della commedia horror firmato Edgar Wright che ha conquistato tutti e ha segnato un nuovo modo di guardare al cinema di genere con le armi della parodia e dell’omaggio al tempo stesso. A seguire numerosi sono stati gli epigoni e gli emuli, alcuni dei quali di successo come Benvenuti a Zombieland, altri molto meno fortunati e dimenticabili.

Non si discosta dal filone nemmeno questo Little Monsters che usa gli zombie come pretesto (del resto lo faceva lo stesso George A. Romero), per raccontare tutt’altro e lo fa cercando anche di divertire, oltre che di trasmettere dei messaggi. E bisogna dire che ci riesce alla grande, soprattutto perché stavolta ad essere presi d’assalto, a parte tre adulti molto diversi tra loro, sono dei piccoli mocciosi che non fanno altro che lamentarsi, canticchiare, fare domande, avere fame, avere paura e tutto quello che un bambino di cinque anni può farvi venire in mente.

L’impresa, allora, appare subito più difficile di quello che potrebbe essere, trattandosi di un’orda di non morti che reclama sangue e carne umana e, infatti, il “messaggio” che il film trasmette principalmente è che la protagonista assoluta, la fantastica Lupita Nyong’o, che non sbaglia davvero un colpo, sia un’eroina non tanto perché a suon di palate fa fuori un bel po’ di zombie (e per fortuna sono quelli lenti, come dice simpaticamente uno dei personaggi sullo schermo, omaggiando ovviamente Romero), ma perché con abnegazione e, soprattutto, con una pazienza inusitata fa fronte alle continue richieste, esigenze e lamentele di un gruppo di bambini da tenere a bada, mentre il caos imperversa.

Da qui un discorso sull’essere adulti che si ricollega anche ai due protagonisti maschili che rappresentano due tipi di infantilismo distinti, ma comunque molto riconoscibili. E la maestrina, insomma, dovrà far crescere anche loro due, lo zio accompagnatore, musicista di strada sboccato e bambinone (il modo in cui interagisce col nipotino, fatto di linguaggio scurrile e di contenuti a tratti inascoltabili anche per gli adulti, costituisce gran parte del divertimento del film) e il presentatore di programmi per bambini vanesio, viziato, egoista e altezzoso. E mentre con uno funzionerà l’arma della dolcezza, con l’altro sarà necessario ricorrere alle maniere forti.

Inutile dire che ci sono anche molti cliché, tra i quali l’happy ending in cui si passa con dolcezza e commozione all’età adulta o la storia d’”amore” tra la maestra e il musicista che dal metal passa a Taylor Swift come se niente fosse, ma tutto sommato siamo di fronte ad un film che non si prende mai sul serio e che si lascia guardare lasciando una piacevole sensazione, accompagnata anche dall’apprezzamento per gli effetti speciali e per la parte più propriamente horror, con teste mozzate, squartamenti e fiotti di sangue che insozzano i vestiti, fatti passare per marmellata agli ignari bambini che pensano di essere nel bel mezzo di un gioco.

Concludendo, quindi, si può tranquillamente asserire che tutto questo basta e avanza per rimanere soddisfatti da quest’opera sicuramente non originale, ma comunque molto spassosa.

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