L'uomo che ama

REGIA: Maria Sole Tognazzi

CAST: Piefrancesco Favino, Monica Bellucci, Ksenia Rappaport, Piera degli Espositi


In una Torino dai contorni indistinti, si muovono le pedine di questa storia ordinaria che racconta la più comune delle vicende: la fine di un amore, le conseguenze che si hanno da una parte e dall’altra, il dolore che si prova a non essere più amati quando ancora si ama. Quello che tentano di fare regista e sceneggiatore è cercare di raccontare il tutto principalmente dal punto di vista maschile. Sostanzialmente al cinema è raro vedere un uomo che piange per amore, o un uomo che mostra apertamente le proprie pene e le proprie sofferenze, come fa in questa pellicola il sempre ottimo e convincente Pier Francesco Favino. Nonostante la regista sia una donna, ha tentato, e per certi versi ci è riuscita, di entrare nell’universo maschile, nella mente degli uomini, e di raccontare quali possono essere i meccanismi che muovono i loro sentimenti, i loro pensieri. Sotto questo punto di vista, la pellicola è perfettamente riuscita, proprio perchè trasmette, in alcuni punti rendendo il suo protagonista addirittura irritante, tutta la disperazione di Roberto per aver perso una donna che considerava la sua anima gemella. I suoi atteggiamenti ossessivi, il suo scivolare sempre più velocemente verso il baratro, sono condizioni che molto probabilmente quasi tutti coloro che hanno subito un abbandono hanno provato. Funzionale in questo senso l’espediente di circondare Roberto da un alone via via più sfocato che lo accompagna nelle sue tristi e solitarie passeggiate notturne, che finiscono quasi sempre con una corsa in tram verso casa per cercare di riuscire a dormire e dimenticare il dolore. Un’ottima idea dunque che però viene leggermente inficiata da alcuni elementi non molto apprezzabili, come una sceneggiatura fin troppo didascalica e per certi versi ridondante (troppe passeggiate solitarie, troppe notti insonni, troppe corse in tram, e via di questo passo), e una serie di sequenze che appaiono fuori contesto, come quella in farmacia nella quale Roberto si rifuuta di vendere un medicinale senza la dovuta prescrizione medica. Al di là di questo, quello che forse non funziona a dovere è l’eccessiva enfasi con la quale si è voluta sottolineare questa condizione comune a uomini e donne, ma vissuta da entrambi i sessi in maniera differente. Se Roberto si intestardisce e non voler dimenticare la donna che lo ha lasciato, la donna da lui precedentemente lasciata, invece, reagisce impulsivamente allontandandolo per sempre da lui. Apprezzabilissima, invece, anche se per certi versi un tantino abusata la colonna sonora firmata Carmen Consoli, che riesce a sottolineare perfettamente gli stati d’animo di tristezza e di nostalgia di ciascun personaggio. Ottime, inoltre, quasi tutte le intepretazioni: intenso e molto comunicativo Favino, decisa e al contempo fragile la Rappaport, e bravissimi Michele Alhaique e Glen Blackhall nel ruolo del fratello minore di Roberto e del suo fidanzato, Yuri. Interessanti, anche se a tratti un pò stereotipati, i personaggi di contorno: i genitori che dopo tanti anni di matrimonio ancora si amano e tengono ben saldo il loro legame nonostante si punzecchino continuamente, la collega di lavoro che si accorge del tormento di Roberto e gli confida di vivere la stessa condizione. Altro pregio de L’uomo che ama è quello di mostrare che quando una storia d’amore finisce a soffrire non è solo colui che viene lasciato, ma anche colui che lascia proprio perchè viene attanagliato dai sensi di colpa per aver provocato tanto dolore, ma soprattutto di porre l’attenzione su quello che sta diventando un problema comune a molti: l’insonnia che ha origine il più delle volte da tormenti interiori. La regia, complessivamente apprezzabile soprattutto quando la camera mostra l’interminabilità dei corridoi nei quali ciascun protagonista si perde, metaforicamente parlando e quando “gira” letterlamente attorno ai suoi protagonisti mostrandone forze e debolezze; si perde invece quando indugia in forzati ed insistenti primi piani.

Tra pregi e difetti, tutto sommato L’uomo che ama è una pellicola sufficientemente apprezzabile che regala anche qualche emozione, soprattutto grazie all’empatia che si riesce a stabilire, a tratti, con il suo protatonista, che a seconda di come ci si pone di fronte al “problema”, appare prima vittima e poi carnefice, o prima carnefice e poi vittima.


Pubblicato su www.livecity.it

7 commenti su “L'uomo che ama

  1. Non so se mai andrò a vederlo, non mi convince molto però i tuoi commenti mi invogliano per lo meno a dare la possibilità ad ogni film.

    Interessante la tua cronaca da Roma…

    MA QUANDO NON è INTERESSANTE CIò CHE SCRIVI?!

  2. Anch’io non so se andrò mai a vederlo (cos’è un’epidemia?) però da come descrivi i movimenti di macchina e le inquadrature (benissimo tra l’altro, pare di vederle) mi sembra un po’ un film “alla Bresson” ( rigoroso, lento, silenzioso, inquadrature e sequenze ripetute, primi piani fissi): è possibile?

  3. Chiara, ti ringrazio sei molto gentile.

    ofvalley, purtroppo non so risponderti perchè, ahimè, non ho ancora visto nulla di Bresson (ma rimedierò al più presto).

  4. Questo film purtroppo non mi convince per niente (grazie anche alla tua precisissima recensione). Ecco, in questo caso escono fuori tutti i miei pregiudizi sul cinema italiano. Per fortuna quest’anno sono riuscito a vedere diversi film nostrani di buona fattura tra cui due al di sopra di tutti (Gomorra e Il Divo). Ma devo vederlo? (Se fosse “stile” Bresson correrei immediatamente in sala)

  5. Non vorrei azzardare un giudizio, non conocendo ancora il cinema di Bresson, ma dubito che si possano fare dei parallelismi. Qualche cosa di interessante comunque nel film c’è…anche se più o meno non si discosta moltissimo dal solito modo di fare cinema in Italia.

  6. Bella rece, Alessandra.

    Il film l’ho visto da poco e non mi è sembrato così male: con qualche limite è un film molto femminile, proprio nel modo avvolgente e interiore col quale è girato, senza scene madri o sussulti. Questo può essere anche il suo limite, ma direi che è apprezzabile la coerenza stilistica della regia. Bravi tutti gli attori, bella la musica di Carmen Consoli, anche se a mio avviso a tratti un po’ invadente.

    Ciao.

  7. Già, infatti l’ho anche scritto, fin troppo abusata. A me sono piaciuti tutti tranne la Bellucci, che sembra lo si fa apposta a prenderla di mira, ma secondo me è proprio che non ce la fa…

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