L'uomo che non c'era

REGIA: Joel e Ethan Coen
CAST: Billy Bob Thornton, Frances McDormand, James Gandolfini, Michael Badalucco, Jon Polito, Richard Jenkins, Scarlett Johansson, Tony Shalhoub
ANNO: 2001
 
Ed Crane, di professione barbiere, è un uomo qualunque, fermo nella sua impassibilità che lo vede protagonista passivo degli eventi della sua esistenza. All’improvviso, però, una scintilla si accende e decide, pur consapevole del fatto che si tratti di una trappola, di accettare l’offerta di un uomo che gli ha chiesto dei soldi per avviare una lavanderia a secco. Per ottenere il denaro necessario ricorrerà al ricatto nei confronti del datore di lavoro di sua moglie, visto che ha scoperto che tra i due c’è una tresca. La sua trappola, architettata fin nei minimi dettagli, si risolverà in una vera e propria tragedia.
 
I Coen, giustamente osannati e apprezzati dagli amanti della settima arte, dal pubblico e dalla critica che sembra premiarli ad ogni loro prodezza cinematografica, sono notoriamente degli abilissimi manipolatori di differenti generi cinematografici, in grado di rielaborarli a loro modo, riuscendo paradossalmente e magicamente a rispettarne l’essenza. E’ questo anche il caso dello straordinario “L’uomo che non c’era”, film che vinse la Palma d’Oro a pari merito con un altro capolavoro come “Mulholland drive” di David Lynch. Questa volta siamo dalle parti del noir, del resto i fratelli avevano dato dimostrazione di essere appassionati e attenti conoscitori del genere sin dal loro esordio nel 1984 con “Blood simple – Sangue facile”, noir di stampo hitchockiano e depalmiano. Anche in quel caso al centro della narrazione c’era un adulterio. Anche in quel caso l’adultera era la mitica Frances McDormand, attrice feticcio dei due fratelli, oltre che moglie di Joel. In questo caso, però, il tradimento della moglie alla ricerca di avventura e pepe nella sua vita altrimenti sempre uguale a sé stessa, è solo una sorta di mcguffin hitchockiano (ecco che ritorna il maestro), per raccontare la parabola ascendente o discendente, a seconda dei punti di vista, del protagonista magistralmente interpretato da un perfettamente compassato Billy Bob Thornton.
Si può trattare di un percorso ascendente perché per la prima volta il barbiere smette di essere “l’uomo che non cera”, cioè l’individuo grigio e invisibile che si trascina giorno dopo giorno senza farsi toccare da nulla (inizialmente neanche l’ipotesi del tradimento della moglie sembra turbarlo), e comincia ad agire per la prima volta spinto da un anelito di affermazione, oltre che di arricchimento personale. Si può trattare di un percorso discendente perché la spirale di morti che prende il via a partire dall’esecuzione del suo piano, tocca di persona sia sua moglie, che, infine, egli stesso, costretto a pagare per una colpa non commessa, dopo essere fortunosamente sfuggito alla punizione per il delitto in realtà portato a termine proprio da lui. Ecco che ancora una volta una delle presenze fisse e inamovibili del cinema coeniano, fa la sua presenza in questo noir solo apparentemente canonico. Stiamo parlando ovviamente del ruolo del caso nella vita degli individui e di come questo possa influire sul loro andamento e sul loro avvenire. La sua forza è talmente implacabile tanto da non potersi sconfiggere nemmeno a dispetto di qualsiasi sforzo per portare la propria esistenza in determinate direzioni, figuriamoci quando non si fa nulla e si rimane inermi ad osservare il fluire del tempo e l’avvicendarsi delle situazioni, cosa che fa il protagonista di questa pellicola. Ma i Coen non si fermano all’apparenza e ci dimostrano come in realtà quest’uomo che “non c’era”, porta con sé il germe dell’alienazione e della diversità, si limita a non agire direttamente perché convinto di far parte di un mondo che non gli appartiene, visto che i suoi pensieri e il suo mondo interiore, raccontatoci dalla voce over dello stesso (tipico elemento del cinema noir), ci fanno scorgere in realtà una personalità più viva e intensa che mai. La metafora della diversità dell’”eroe passivo” è data splendidamente dall’inserimento nella narrazione e nella messa in scena oltremodo rigorosa, di un ufo che sembra fare visita all’uomo in prigione (ecco che il carattere eversivo e singolare dei Coen fa capolino anche all’interno dell’equilibrato rispetto dei topoi del genere preso in esame).
Fotografato in uno splendido bianco e nero, anche in questo caso per omaggiare il grande cinema noir degli anni ’40, e ambientato a Santa Rosa, stessa cittadina in cui Hitchcock inserì il racconto del suo “L’ombra del dubbio”, “L’uomo che non c’era”, può e deve senz’altro essere annoverato tra i migliori capolavori dei due fratelli e tra le migliori pellicole in assoluto del decennio appena trascorso.

Pubblicato su www.livecity.it

 

5 commenti su “L'uomo che non c'era

  1. per me è una parabola discendente.L'uomo qualunque che vive placido e senza scosse si lascia tentare da una situazione peccaminosa e trascina la sua anima fino all'infern…EHI,JOSEPH VAI A CELEBRARE LA MESSA E NON METTERTI A SCRIVERE RECENSIONI A NOME MIO!

    Ehm..che dire?Un capolavoro assoluto e totale ,una meraviglia per la sensibilità dello spettatore trattato da essere dotato di intelligenza e profondità.Non solo dei ruminanti mangia popcorn

  2. A volte ci sta pure però essere dei ruminanti mangia pop-corn. Certo è che le migliori soddisfazioni vengono da tutt'altri film, come questo ad esempio.

  3. a mio parere un film bellissimo, forse insieme a fargo è il film migliore dei coen…fotografia ottima, un cast spettacolare (protagonista di altissimo livello) e una sceneggiatura che, come spesso nei film dei coen, mescola vari generi: dramma, commedia, noir.

  4.  

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  5. Verdoux, insieme a Fargo e Non è un paese per vecchi, è anche il mio preferito dei Coen.

    Silvia, ti ho risposto tramite mail.

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