La morte e la fanciulla

REGIA: Roman Polanski

CAST: Sigourney Weaver, Ben Kingsley, Stuart Wilson

ANNO: 1995

Paulina è sposata con Gerardo Escobar, avvocato a capo di una commissione che giudicherà i crimini della polizia di stato in tempo di regime. La donna però entrerà in conflitto col marito perché ha deciso di occuparsi solo dei casi dei deceduti, tralasciando quelli che sono ancora vivi e che sopportano il ricordo delle torture subite, lei per prima. Quando Gerardo tornerà a casa accompagnato da un uomo che gli ha dato un passaggio a causa di un temporale, Paulina si convincerà che si tratta del suo torturatore e cercherà in tutti i modi di farlo confessare.

Un film davvero molto particolare e intenso, così come solo i film di Polanski sanno essere. Tratto da una pièce teatrale di Ariel Dorfman, “La morte e la fanciulla” contiene in sé molti dei temi e degli elementi tipici del cinema polanskiano, a partire dall’ambientazione ristretta (la pellicola è quasi completamente ambientata all’interno del cottage dei due coniugi), senza tralasciare le atmosfere rese ancora più cupe da temporali e notti irrequiete, arrivando all’introspezione e all’analisi di molti meccanismi che governano la mente umana prima di tutto, e i rapporti interpersonali di conseguenza. Perché se apparentemente e superficialmente “La morte e la fanciulla” è il racconto di una donna psicologicamente distrutta dalle torture subite che decide di vendicarsi crudelmente e di ottenere giustizia, accanendosi sull’uomo che crede essere uno dei suoi torturatori; in realtà, approfondendo lo sguardo, ci si rende conto che nasconde ben altro. Lo si nota dalla netta contrapposizione tra moglie e marito, dal loro rapporto sviscerato in ogni componente e smosso dall’arrivo di un terzo elemento (il dottore accusato da Paulina di essere il suo torturatore); contrapposizione che porta ad una vera e propria lotta di potere tra i due che sta a simboleggiare la natura dei rapporti umani, a partire proprio dal più “convenzionale” come quello tra coniugi. Ecco che allora anche la figura del dottore (un Ben Kingsley perfettamente in bilico tra ambiguità e stupore), assume dei contorni sfaccettati, assurgendo alla funzione emblematica di elemento esterno di disturbo dell’apparente equilibrio che si decide di stabilire tra esseri umani uniti da legami affettivi e consuetudinari. Da non tralasciare anche il riferimento alla natura complessa e imperscrutabile della donna, qui messa al centro dell’attenzione non solo in quanto protagonista (la Weaver offre una straordinaria interpretazione al tempo stesso sofferta e decisa), ma soprattutto nel ruolo di oggetto d’”analisi” da parte del marito avvocato e del prigioniero dottore. I due sembrano essere alleati sin dall’inizio nel descrivere la donna come essere incomprensibile e “folle”, e pare che continuino ad esserlo anche quando la situazione precipita, nonostante l’avvocato cerchi di comprendere le ragioni della moglie. Questa sorta di schieramento di “squadre” fa sì che l’intento di indagine sulla natura femminile assuma dei contorni netti e ben definiti, anche se il risultato di questa indagine rimane volutamente cerchiato da un alone di incertezza. E’ davvero folle Paulina a credere di aver riconosciuto il suo torturatore solo dalla voce o solo perché nella sua auto ha una cassetta dell’opera di Schubert, “La morte e la fanciulla”, musica che contrassegnava sempre i momenti in cui veniva stuprata e torturata? Per lungo tempo lo spettatore si trova in bilico nel giudizio delle azioni di questa donna che toglie ogni dignità all’uomo che crede colpevole di averle inflitto dolori inimmaginabili. Fatto sta che per tutto il film è difficile riuscire a comprendere la reale colpevolezza del dottore legato ad una sedia, imbavagliato con delle mutande, colpito ripetutamente, costretto a confessare crimini che ammette di non aver commesso. E nemmeno nel finale apparentemente risolutorio si riesce ad ottenere una risposta netta al quesito riguardante la “follia” femminile.

Appare chiaro che questi sono temi tipici del cinema di Polanski come dimostrano altre pellicole che li hanno sviscerati altrettanto approfonditamente, come “Cul de sac”, “L’inquilino del terzo piano”, “Rosemary’s baby” e anche il più recente “L’uomo nell’ombra”. Insomma, c’è sempre una sorta di “McGuffin” hitchockiano che serve da pretesto per analizzare queste tematiche tanto care al regista (, l’arrivo di un rapinatore in casa di due borghesi, la morte sinistra dell’abitante di uno strano condominio,  l’ipotesi di una possessione demoniaca, la scrittura di una biografia, ecc…), così come notiamo in questo “La morte e la fanciulla” in cui abbiamo a che fare con il ricordo delle torture subite durante un regime “fascista” di cui però non viene mai citata l’ubicazione (siamo nel Sudamerica, ma dove di preciso?).

Con un impianto prettamente teatrale sostenuto su un’impalcatura fittissima di dialoghi e risvolti recitativi, piuttosto che narrativi o registici, “La morte e la fanciulla”, riesce a coinvolgere lo spettatore nello stesso genere di elucubrazioni che Polanski sottintende sempre egregiamente nelle sue pellicole di genere e non.



Pubblicato su www.livecity.it

8 commenti su “La morte e la fanciulla

  1. Sarà per lo splendido quartetto di Schubert dal titolo omonimo che fa da linea musicale al film, sarà per l'ambientazione cupa e per l'odio che emana la pellicola, ma ritengo questo uno dei lavori più belli di Polanski

    Missile

  2. nemmeno oliver twist?Quello è bruttarello forte!
    Questo film invece è strepitoso non solo tecnicamente ,ma per il tema e il modo in cui viene svolto.Indimenticabile

  3. Anche per me è uno dei film più belli di Polanski, di cui amo soprattutto questi film "da camera" (vedi anche "Repulsion" o "Luna di fiele").

    E poi mi ricorda perché amo tanto Sigourney Weaver! ^^

    Ciao
    Christian

  4. concordo con il precedente commento, un film straordinario
    con Schubert protagonista al pari di Kingsley e dell'immensa Sigourney Weaver

     

  5. Un altro bellissimo film di Polanski, come hai detto molto teatrale e di grande intensità emotiva. Un'opera senza dubbio che merita più di una visione.

  6. Mi accodo ai commenti di tutti. E' uno dei migliori polansky. Ma concordo anche con viga che dice che Oliver Twist è deludente. Comunque Polansky è uno dei pochi che sa portare il teatro al cinema senza troppi traumi (o, nel caso di questo film, con tutti i traumi).
    Sonny

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