Vertigo – La donna che visse due volte

REGIA: Alfred Hitchcoock

CAST: James Stewart, Kim Novak, Barbara Bel Geddes, Tom Helmore
ANNO: 1958

TRAMA:

John “Scottie” Ferguson è un poliziotto in pensione che soffre di vertigini a causa di un incidente accaduto sul lavoro. Un suo vecchio compagno di studi lo ingaggia per seguire sua moglie Madelaine affetta da manie suicide in seguito alla scoperta di un’antenata che morì togliendosi la vita, la quale pare essersi impossessata del corpo e dello spirito della pronipote. Dopo averle salvato la vita, John finisce per innamorarsene fino a quando…

 



ANALISI PERSONALE

Uno dei più grandi capolavori del Genio, La donna che visse due volte (titolo originale ben più indicato Vertigo) è uno straordinario esempio di cinema complesso, sensuale ed intrigante che non manca di coinvolgere in una spirale di ossessioni che vanno da quella per le vertigini fino a giungere persino ad una sorta di necrofilia (John dopo essere uscito dall’ospedale per essere “impazzito” in seguito al suicidio della sua amata, incontra una donna che le somiglia incredibilmente e la “costringe” a trasformarsi per essere totalmente identica a Madelaine), senza tralasciare il senso del dovere e soprattutto il senso di colpa. La bellissima ed erotica Kim Novak (che ha sostituito Vera Miles rimasta incinta, poi protagonista di Psycho), è l’emblema di questa pellicola, lei coi suoi capelli biondo platino e i suoi occhi da gatta, incarna la tipica femme fatale, un po’ algida e un po’ sfuggevole, proprio come da tradizione hitchoockiana. Solo un maestro di suspance come Hitchcoock poteva svelare il mistero a ben quarantacinque minuti dalla fine, rischiando così di far perdere attenzione e interesse allo spettatore. La cosa eclatante, è che invece, cominciamo ad impegnarci maggiormente nella visione, proprio a partire da quel momento, per sapere cosa succederà alla protagonista dopo che l’ossessionato James Stewart scoprirà il suo segreto. Il protagonista maschile, il bravissimo James Stewart che ha saputo dare vita ad un personaggio estremamente sfaccettato, è letteralmente ossessionato dalla paura per l’altezza, le vertigini saranno portatrici di immensi dolori, confesserà persino alla sua migliore amica, Midge, (palesemente innamorata di lui, ma non ricambiata) di essere affatto da acrofobia. Esplicativa al riguardo la sequenza iniziale nella quale il poliziotto rimane appeso ad un cornicione e comincia ad avere dei capogiri, fino ad immobilizzarsi e a non riuscire a salvare il suo collega accorso per aiutarlo. Sarà questo l’evento scatenante che lo condurrà ad abbandonare il lavoro e ad accettare poi l’incarico del vecchio compagno di università. Ma c’è un’altra sequenza al riguardo, forse ancora più emblematica, ed è quella che si svolge nell’appartamento di Midge. Qui John tenterà di guarire dalla sua malattia per brevi passi, cominciando a sollevare lievemente i piedi da terra. Salirà su uno sgabello con degli scalini e quando giungerà in cima si renderà conto di essere vicino alla finestra e guardando in basso si sentirà male. Il suo primo tentativo è fallito miseramente. Ma questa sua fobia tornerà ad assillarlo, proprio quando la donna che lui segue per lavoro e di cui si è perdutamente innamorato, salirà in cima ad un campanile in preda ad un delirio suicida, ma John non riuscirà a salvarla perché non sarà in grado di percorrere gli scalini più in alto. Per mostrare a chiare lettere l’enorme e immobilizzante senso di vertigini di John, Hitchcoock si servirà di un misto di carrellate all’indietro e di zoom, riuscendo lì dove aveva fallito ai tempi di Rebecca, per mancanza di mezzi. 19.000 dollari fu la somma necessaria per girare questa sequenza, ma il Genio dopo quindici anni da Rebecca, non ci stette a rinunciare a questo espediente all’epoca davvero innovativo, regalandoci in questo modo un altissimo momento di cinema. Alquanto allucinante, e a tratti grottesco, è  l’incubo che affligge John dopo la morte della donna amata, incubo nel quale la sua testa vaga tra i luoghi che i due hanno frequentato, contraddistinti da uno sfondo rosso fuoco, rosso come la passione, rosso come l’ossessione, rosso come il peccato. In Vertigo c’è veramente tutto: c’è la storia d’amore sofferta, c’è l’erotismo latente che poi esplode, c’è il mistero, l’intrigo, la tensione e la suspance. Tratto da D’entre les morts di Boileau e Narjegac e musicato dal fidato e mitico Bernard Hermann, questo film rimarrà sicuramente nella storia della cinematografia come una delle pellicole più intense di sempre. Con un plot a tratti banale e sicuramente ruffiano nel trattare “materiale esoterico”, Hitchcoock ci incanta con storie di fantasmi che si rivelano ben altro e con intrighi amorosi che celano del marcio. La solita attenzione al particolare (un mazzo di fiori, una particolare acconciatura, un tailleur e soprattutto una collana), viene qui affiancata anche con una particolare predilezione per il colore (Vertigo in bianco e nero non sarebbe stato la stessa cosa). Lo stesso regista, nell’intervista concessa a Truffaut nel suo famoso romanzo-intervista, si soffermò ad analizzare l’utilizzo dei vari colori, soprattutto del rosso (il ristorante dove John vede per la prima volta Madeleine è completamente tappezzato di questo colore, ma anche i suoi incubi e alcune successive visioni della donna saranno inondati dal rosso), ma anche del verde. L’hotel nel quale risiede la donna che John incontra dopo la morte di Madelaine ha un’insegna al neon di quel colore e quando Judy (così si chiama la rossa sosia) esce dalla toilette con addosso l’abito della defunta e con la sua stessa acconciatura, essa viene del tutto “investita” da un fascio di luce verde, che la fa sembrare un vero e proprio spettro. Se ancora ce ne fosse stato bisogno, con questa pellicola Hitchcoock ha dimostrato definitivamente la sua immensa maestria e padronanza del mestiere.
Indimenticabile rimarrà  la sequenza finale che vedrà finalmente il faccia a faccia decisivo e definitivo tra i due protagonisti che per la prima volta saranno del tutto sinceri l’uno con l’altro. Ma l’arrivo di un “terzo incomodo” rovinerà per sempre le vite di entrambi.

VOTO: 10


 



CITAZIONE DEL GIORNO

Non e’ stato un piacere non conoscerti. (Carrie in "Quattro matrimoni e un funerale")


LOCANDINA

28 commenti su “Vertigo – La donna che visse due volte

  1. “Parlare di questo film è come ballare di architettura.”

    Parafrasando Frank Zappa arrivo a dire che il 10 è poco per una siffatta opera d’arte.

    Il vertice massimo di uno dei 5 Autori massimi di tutti i tempi; cara Ale, questa è davvero Storia.

    Bellissima Kim.

  2. Si, lei davvero azzeccatissima per la parte. Mi piacerebbe sapere quali sono ora secondo te gli altri cinque Autori massimi di tutti i tempi ^^

  3. Mi contengo: uno dei primi 20 film della storia del cinema… mi sono contenuto…e tanto…^^

    Uno degli innumerevoli capolavori del Genio. Uno dei massimi in assoluto.

    Ciao

    Chimy

  4. Lost e Chimy, mi sa che qui non c’è trippa per gatti!! Non credo che nessuno possa dire che non sia un immenso capolavoro!!

  5. Nella mia top ten assoluta di sempre. E per sempre.

    Non sono per nulla d’accordo sul “plot a tratti banale” o peggio ancora “ruffiano” però, sappilo. 🙂

    Tutto in questo film esplode di bellezza: gli attori, lo scritp, le location (i ponti di san francisco, la foresta di aceri…), gli effetti visivi, la memorabile colonna sonora di Herrman, la fotografia (esaltata dai colori e dal meraviglioso formato wide-screen VistaVision della pellicola), la regia dell’immenso zio Alfred. Lo considero anch’io il suo miglior film, di poco avanti ad Intrigo Internazionale. 10, lode e bacio accademico.

    Un salutone

  6. Bè, un pò ruffiano è tentare di impaurire con “fenomeni paranormali”, ma il mio pur sembrando un rimprovero, voleva essere un complimento. Nel senso che, nonostante questo, il mitico Alfred è riuscito comunque a creare un grandissimo capolavoro. Il plot banale, si riferisce al ruolo dell’amico di università, che non sto qui a svelare, che se bene ci pensi è quasi un must nei film gialli o nei thriller, ma anche questo era un complimento. Alfred partendo dalle cose più semplici o comunque già viste, crea un mondo fantastico ed inimitabile.

  7. Gli altri:

    Kubrick, Wilder, Chaplin, Ford (o Kurosawa, a rotazione :-))

    Di pochissimo fuori Welles e Scorsese.

    Secondo me, si intende 🙂

  8. Bè, io non li metterei mica fuori quegli altri due! Comunque, come non essere d’accordo!!! (anche se Ford, Wilder e Kurosawa devo approfondirli meglio ^^).

  9. Vertigo è un meccanismo perfetto, un orologio in cui ogni ingranaggio, anche il più microscopico, è funzionale al “testo”. Hitchcoock era un altro maniaco (quasi come Kubrick) nel voler controllare ogni aspetto del film. Qui nemmeno una sbavatura e inoltre immagini sconvolgenti, innovative. Le vertigini sono quelle che provo quando riesco a cogliere, anche se parzialmente, il senso del film inteso come un buco nero che ti attira e ti respinge “nel medesimo” tempo, là dove la luce non riemerge se non all’interno di se stessa. Quando parlo di vertigini, penso sempre a questo film. Immenso. Una recensione di ottima qualità. Complimenti.

  10. Vabè gahan, fammi vedere anche qualcos’altro dai! 😛

    Luciano, ti ringrazio, come sempre sei immensamente gentile ^^

  11. Il mio film preferito di Hitch!

    Un film enorme. Si potrebbe guardarlo e discuterne all’infinito e ogni volta troveresti cose nuove di cui parlare.

  12. il mio preferito di alfred è rear window, ma questo resta comunque un film da 10 e lode. è di una bellezza che riempie gli occhi, e la scelta finale di hitchcock di preferire la suspense alla sorpresa è stata azzeccatissima. un film immenso

  13. Rear window è un altro filmazzo indimenticabile ed immenso. Ma Hithcoock ne ha fatti talmente tanti di inusitata bellezza, che ci mette in imbarazzo nella scelta dei migliori.

  14. Avvolto come un incubo in un vortice di tensione, il film è un thriller inquietante che esplora le zone più profonde e sconcertanti della psiche, un viaggio nella parte scura dell’animo umano sullo sfondo di una San Francisco, onirica e bella come mai. Inizia come un film d’azione, lasciando presagire sequenze movimentate… ma l’atmosfera diventa improvvisamente lenta, sognante, il ritmo si fa contemplativo.

    Non è un semplice “giallo” ma una storia d’amore e di morte (profonda e disperata), una angosciosa analisi di una ossessione (impregnata di feticismo e frustrazione), un racconto luciferino e inquietante che insinua malessere e vertigine nello spettatore, coinvolgendolo come raramente accade. Un film da rivedere e rivedere.

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