The American

REGIA: Anton Corbijn
CAST: George Clooney, Violante Placido, Paolo Bonacelli, Bruce Altman, Thekla Reuten, Filippo Timi
ANNO: 2010

Jack dopo aver ucciso tre persone in Svezia, si rifugia in un paesino dell’Abruzzo con il compito di costruire un’arma molto particolare per una donna intrigante e misteriosa. Qui, nonostante gli avvertimenti del suo boss circa la pericolosità di legami affettivi, farà la conoscenza di un prete e instaurerà un profondo legame con una prostituta. Ma cambiare vita non sarà affatto facile.

Un thriller d’altri tempi questo “The American” che sembra ripercorrere la strada battuta negli anni passati nel racconto poco fracassone e alquanto rarefatto di questa personalità molto complessa e combattuta. Dopo un incipit dall’alto impatto visivo ed emotivo (con una deflagrazione della violenza quasi “coeniana”), ciò che contrassegna la pellicola, però, è una sorta di linearità che si trasforma molto presto in piattezza e, in alcuni momenti, addirittura in noia. Non ci sono alti in “The American”, così come sostanzialmente non ci sono bassi (se si esclude il prevedibile, telefonato e retorico finale in cui si abusa di una metafora semplicistica come quella di una farfalla, animale in via d’estinzione così come il protagonista), in una sorta di monotono equilibrio che manca di scossoni, narrativi, visivi od emotivi che siano. Certo l’interpretazione controllata e quasi intimista di Clooney riesce a dare un certo spessore al film che in qualche modo risulta essere il ritratto psicologico di questo personaggio in bilico tra dovere e volere, ma ciò ovviamente non basta a far sì che incontri il pieno entusiasmo dello spettatore. Al di là della banalità del plot (ma forse il compito era più arduo di ciò che poteva sembrare, trattandosi della trasposizione del romanzo “A Very Private Gentleman” di Martin Booth, incentrato sui mutamenti interiori del protagonista), che si concentra sulla solita storia d’amore del criminale con la solita prostituta e sul superficiale confronto con un prete fin troppo interessato; un altro motivo di apprezzamento è l’interessante utilizzo dell’ambientazione abruzzese che in qualche modo cattura tutta l’attenzione dello spettatore e assurge al ruolo di protagonista accanto a Clooney stesso. Interessante anche l’impianto registico che trasmette alla perfezione questo binomio uomo/ambiente, soprattutto quando si sofferma sulle numerose inquadrature dall’alto che ben evidenziano il rapporto sempre più simbiotico e “inglobante” che si instaura tra i due elementi. Particolarmente suggestive, poi, le sortite notturne del protagonista, quasi sempre teso sulla corda del sospetto e della paura, con il pericolo che si potrebbe nascondere dietro ogni angolo, in ogni piccolo vicoletto, tranne che nel suo umile appartamento all’interno del quale con perizia e professionalità, lentamente e in piena solitudine, si esprime nella sua “arte” che è al tempo stesso la sua dannazione.
Dopo una lunga carriera nel campo dei videoclip e l’esordio cinematografico sempre incentrato sul mondo della musica con il ritratto di Ian Curtis, frontman dei mitici Joy Division; Anton Corbijn cambia totalmente genere, stile e campo d’analisi, non riscuotendo lo stesso successo dei lavori precedenti e non distinguendosi particolarmente, nonostante le alte aspettative sulla qualità dell’opera. Tutto sommato, comunque, stiamo parlando di una pellicola che, pur non risultando eccezionale o memorabile, si lascia guardare senza troppi intoppi, considerando che molto probabilmente parecchi dei cliché che la contrassegnano, soprattutto in fase di script, sono anche ricalcati sul cinema di genere al quale il regista sicuramente si è ispirato per la costruzione di questo racconto superficialmente semplice, ma in profondità davvero molto complesso.
E se le pagine di un libro possono assolvere in maniera più esaustiva e soddisfacente al compito di raccontare i risvolti intimi, psicologici e umani di un personaggio; lo stesso risultato è sicuramente più inaccessibile per una pellicola, la quale, piuttosto che al flusso continuo e illuminante delle parole, può fare ricorso, appunto, alle immagini e ai movimenti della macchina da presa, oltre che alle interpretazioni dei protagonisti. E sotto questo punto di vista si può dire che “The American” non è del tutto deludente, restituendo allo spettatore una sorta di via di mezzo che non rende la pellicola vincente, ma nemmeno perdente.

VOTO:

Pubblicato su www.livecity.it

20 commenti su “The American

  1. Ciao Claudio, puoi scrivermi nella posta privata di Splinder!

    Vale, secondo me se fa guardà, niente di entusiasmante però…io sto ancora cercando disperatamente il tempo di recuperare film come "I mercenari", "Fish tank", "My son, my son, what have ye done" e della prossima settimana voglio vedere almeno "Fratelli in erba" e "Mangia, prega, ama". Però sto veramente incasinata, non credo che ce la farò mai, considerando che ho anche da recuperare l'ottavo episodio di Mad man, l'ottavo di Rubicon e il quarto di The big C. L'unico che ho visto di sta settimana, di quelli che seguo ovviamente, è True Blood, che tra l'altro è finito pure a schifio…

  2. Non ci sono alti e non ci sono bassi: beh, direi che hai sintetizzato alla perfezione.
    A me è piaciuto forse meno rispetto a te, e in un gioco di pellicola nè vincente e nè perdente, mi hanno pesato di più le cose che sono mancate.

  3. Bè, a me la prima parte aveva coinvolto e incuriosito non poco. Certo poi si risolve in un nulla di fatto, ma tutto sommato non mi è sembrato un "brutto" film.

  4. ciao Alessandra,

    concordo in pieno sul fatto che mancano alti e bassi e che il finale sia alquanto scontato.

    A me il film ha deluso un po'… mi aspettavo – forse a torto – qualcosa di leggermente diverso.  

    Si salva la fotografia e l'attenta scelta dei luoghi… un'ottima pubblicità per una parte dell'Abruzzo remota e sconosciuta ai più, americani e non.

    Interessante la citazione a Carosone che non so quanti, al di fuori dell'Italia, possano aver compreso ( Tu vuo' fa l'americano in radio ed il protagonista, americano in Italia, che sorseggia un espresso leggendo il Corriere della Sera…. )

    Fabrizio

  5. Si, ho sorriso anch'io in quel momento. Comunque alla fine siamo d'accordo. C'è qualcosa da apprezzare, ma non è così entusiasmante.

  6. Bè, a me non è dispiaciuto poi così tanto, le atmosfere erano interessanti e l'ambientazione era perfetta. Anche registicamente e a livello interpretativo non è affatto male.

  7. Molto bello a livello visivo, bravo George Clooney.
    Però la seconda metà del film è veramente trita e ritrita, la scena della processione è penosa. Peccato questo crollo nel finale.

  8. Uno strano film. Che il regista venga dalla fotografia spiega forse la discreta valorizzazione del paesaggio abruzzese, forse la cosa più interessante.
    La tensione invece è molto sottotraccia, direi: più che altro, ci si aspetta sempre che succeda qualcosa, che il film decolli, e invece no. Dice: è voluto, ma qualcosa in più si poteva fare per vivacizzare una pellicola che alla fine è dignitosa, ma non brilla affatto.
    E poi un appunto: è verosimile che lo straniero (americano) e gli abitanti del paesino (abruzzesi) parlino tutti la stessa lingua senza problemi? E quale?
    Magari uno non ci fa caso, ma a pensarci è curioso, no?
    Un saluto alla caposala.

  9. Ma lo sai che l'ho pensato per tutto il tempo anche io? Le uniche soluzioni sono o che lui ha imparato in fretta a parlare l'italiano o che a Castel del Monte sanno parlare tutti inglese…

  10. Entrambe ipotesi improbabili, no?
    Magari, chissà, parlano tutti l'esperanto!
    (Quand'ero alle elementari, secoli fa, pareva la lingua del futuro, ma che fine ha fatto?)
    Ciao.

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